3 aprile 2016, ore 18.00, Teatro Nuovo, Salerno
la compagnia Teatro Grimaldello presenta
IL CHIODO FISSO
con Annarita Vitolo
regia di Antonio Grimaldi
Cosa ci può essere di più rassicurante dell’immagine di una giovane madre còlta nell’atto di cullare il proprio pargolo? E tuttavia, nel testo che qui proponiamo, la sola a non essere rassicurata è proprio la donna.
Non a caso, dopo i primi momenti di ineffabile piacere, durante i quali ella antepone ai “più raffinati gusti del palato” la incommensurabile gioia di stringere fra le braccia il frutto del proprio ventre, il suo pensiero entra in un gorgo di ipotesi sempre più angosciose, tutte all’insegna degli ostacoli che potranno ( e, diciamo noi, dovranno) frapporsi tra lei e quello da lei inteso come il godimento di una sua proprietà. La scuola, prima di tutto. E poi il nuoto, il tennis, la discoteca, il pokerino e via di seguito.
Ma la nostra effervescente mamma è di ferrea struttura psicologica e a tutto riesce a trovare un rimedio a suo modo possibile. Finché non si imbatte nell’amore, in “quell’amor che è palpito dell’universo”, e contro il quale ogni arma, sia pur materna, è destinata ad uscirne spuntata. A questo punto la strenua madre non sa fare altro che ricorrere ad un gesto inconsulto, che per ovvi motivi non riveliamo.
Testo concepito per un’attrice solista, “Il chiodo fisso” intende rendere esplicito, in uno spazio temporale convenzionalmente unico, il progressivo scollamento della protagonista dalla realtà quotidiana in cui si muove. Il suo itinerario mentale, all’insegna della inutile fatica di rimanere nel perimetro della ragione, non presume di assurgere ad emblema di tanti fatti di cronaca, che si presentano come storie di “naturale follia”, e che producono in noi lo sgradevole effetto di suggerirci foschi sospetti anche sul nostro tranquillo dirimpettaio; e, tuttavia, non possiamo impedire allo spettatore di provare una siffatta tentazione (chi non vede per qualche giorno i figli del suo inquilino, e non è assalito dal brivido che i genitori possano averli fatti a pezzi, scagli la prima pietra!).
Scritto in uno stile piano, ma che non disdegna, laddove occorrono, impennate di ritmo, il monologo procede sul filo teso di un delirio via via più frenetico, che utilizza la chiave del grottesco e dell’umorismo nero per sottolineare più sensibilmente la distanza tra il reale e il paradossale.