La donna del banco dei pegni


Registrata alla SIAE il 23 dicembre 1988 n° 360872A

Archivio n° 39

Un banco di pegni. Un crocevia delle miserie umane. Un luogo triste dove le lacrime della povera gente si sono rapprese in oggetti dati in pegno e quasi sempre mai più riscattati. Un’area di parcheggio per le angosce minime come per le smisurate ambizioni di una comunità di fantasmi – la città che si intuisce dietro le pareti della scena.

In un siffatto ambiente una donna è impegnata a sommergere il marito, titolare dell’esercizio, sotto una valanga di parole. Ma il suo sfogo verbale sembra obbedire piuttosto alle leggi della natura, che non a quelle di una sia pur rudimentale psicologia. Siamo in presenza di un eloquio di tipo alluvionale, di una spontanea proliferazione della voce, in cui le parole iniziali, rotolando su se stesse, vanno a smuovere altre parole, e queste altre ancora , e così via; finché il “discorso” non assume le proporzioni e la veemenza di una valanga che “discorre” e tutto trascina nella sua folle corsa.

Sono per lo più recriminazioni, invettive alla volta dell’uomo che le sta di fronte. Ma sono anche racconti di un passato ampiamente mitizzato; sulla cui attendibilità solo un monco potrebbe giocarsi la mano che non ha.

La situazione, per quanto casuale possa apparire, in realtà presenta tutti gli aspetti di un cerimoniale da tempo in atto fra i due. Come un appuntamento rituale, come una messa i cui si celebra il mistero del loro quotidiano convivere.
Ecco che allora il coriaceo silenzio dell’uomo, opposto quale unica difesa al dilagare sonoro della donna, non si presenta più come un’occasionale strategia ma prende l’aspetto allarmante di una scelta biologica, dettata dalla necessità di sopravvivere in un simile habitat. Quel silenzio è il suo carapace, la sua corazza protettiva.

E mentre tace egli va su e giù per la stanza, animaluccio laborioso, occupato nell’infaticabile lavoro di stivaggio e smistamento dei pegni in sua custodia.

Tutto potrebbe andare avanti così, vita natural durante, con una moglie che straparla e un marito che ‘stratace’. Ma è scritto che un certo giorno, per l’appunto quello messo in scena, la catena dei comportamenti fedelmente rispettati e iterati debba spezzarsi nel punto più debole. E la vicenda deraglia dalla sua asfittica ma rassicurante circolarità, per precipitarsi lungo una spirale inesplorata, che non contempla possibili ritorni.

BIBLIOGRAFIA

Ritratti di donne senza cornice
Collana Dionisio segni, testimonianze, presenze
a cura di Angelo SCANDURRA
IL GIRASOLE Edizioni, aprile 1990

PRODUZIONI: La donna del banco dei pegni